Aldo Rossi, Autobiografia scientifica, il Saggiatore, Milano 2009

Scritta nella forma intermittente e sinuosa della sequenza di annotazioni, questa autobiografia sembra rappresentare un percorso a ritroso rispetto a L’architettura della città, libro teorico, scritto negli anni sessanta, in cui Aldo Rossi definiva, con rigore «rinascimentale», i principi della morfologia urbana. In questo libro regnano invece, «in discreto disordine», ricordi di luoghi e cose abbandonate, frammenti di oggetti, forme, luci, gesti, sguardi, emergenze di letture, citazioni di testi e autori amati. Questa «autobiografia dei progetti che si confonde con la storia personale» svela ciò che sta alle spalle di un’originale teoria dell’architettura: la poetica di un grande autore, il percorso della sua educazione formale, che procede dall’osservazione delle cose alla memoria delle cose. Ritornano, sospinti da un pensiero analogico e meditante, ostinato e ripetitivo, i concetti fondamentali intorno a cui si è sviluppata la ricerca di Aldo Rossi (lo spazio, il tempo, l’energia, la naturalezza, la morte) e, come un’ossessione, i motivi che, quasi moduli elementari, ricorrono a contrassegnare le sue diverse opere: il mercato, il teatro, la villa, la torre, il silos, il timpano, la banderuola… Lungo dieci anni, questo prezioso diario apre squarci biografici e poetici in un particolare percorso di evoluzione artistica, dà all’esposizione della teoria architettonica, nella sua genesi, il fascino e la bellezza di un racconto.

 

 

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