Progetto di Concorso per il Palazzo del Cinema

con Giovanni da Pozzo, Francesco Saverio Fera, Luca Meda e Massimo Scheurer

Lido di Venezia, 1990

Questo progetto, pur tenendo conto in modo particolare degli aspetti tecnici necessari per la copertura dell’arena e per la contemporanea visione all’interno dei due cinema dello stesso spettacolo, obiettivo principale del progetto, non dimentica l’importanza del luogo, della sua storia, della sua atmosfera. Il Lido di Venezia, anche nella sua decadenza, vive del palazzo del Cinema, del Casinò, degli hotel passati alla storia, di tutti quegli elementi che lo hanno conformato e caratterizzato fino a oggi. Unito idealmente alla Biennale il Lido rappresenta un’altra Venezia. Quest’altra Venezia, in fondo abbastanza collegata a quella storica, o entrata anche nell’immagine di quella storica, deve essere riconfermata e in questo senso il presente concorso nasce proprio dalla Biennale, il cui settore di architettura dovrebbe avere istituzionalmente il compito di occuparsi se non di tutta Venezia, almeno di questa parte della città. Ora è indubbio che il fascino di quest’altra Venezia, oltre a essere discreto, è legato a una stagione, la stagione del cinema, alla fine dell’estate, quando la città si va un poco svuotando del più affollato turismo, e il pubblico del cine­ma dovrebbe sostituire il pubblico dell’estate. Come si colloca il palazzo del Cinema all’interno del progetto? È il caso di parlare dell’interno del progetto perché esso si trova proprio compreso nel nostro progetto, come se ne fosse generatore e generato, e questo è il rapporto di base, il carattere di tutto il progetto che è costituito dalla unione di parti diverse: l’atrio, il palazzo, l’arena compresi in un solo organismo. E disegnandolo vedevo sorgere la complessità di una forma appena intravista che si andava compiendo ogni giorno. Il fascino degli antichi complessi edilizi all’interno della città dove il luogo e l’architettura si confondono e si avvertono nell’insieme urbano. A questo insieme partecipa la sala minore di seicento posti situata vicino al complesso con la formazione di una calle veneziana. Questo edificio rappresenta come un inserimento più modesto con la facciata in ferro e laterizio che ricorda le ville del Lido e in genere le stazioni balneari. Il nuovo palazzo del Cinema è visibile, per chi arriva da Venezia, per il suo grande atrio, di disegno chiaro, con ampie porte e vetrate che illuminano le sale superiori. Entrati nel grande atrio si vede chiaramente la facciata del palazzo attuale, la scoperta in un esterno-interno, un susseguirsi quasi cinematografico degli spazi. L’idea base che permette tutto questo è l’unione del cinema con l’arena fino a formare una sala unica per 2900 posti per le grandi serate men­tre essa può essere divisa da una scena mobile ricostituendo così due sale per lo spettacolo reciprocamente di 1700 e di 1000 posti. La copertura dell’arena, questione fondamentale per il festival veneziano, è realizzata con una struttura a travi metalliche che ne accentuano la vastità e la bellezza; ed essa è parte integrante dell’architettura. Sul retro, l’edificio si affaccia sul canale e dal canale ripropone l’antica vita veneziana, i moli per l’attracco delle barche, un chiosco di sosta che riecheggia le costruzioni dei gondolieri al centro della città, una struttura in legno come in molte darsene o piccoli porti. L’edificio si presenta unitariamente, ritmato dalle torri dei servizi, dai corpi degli uffici e dalla presenza delle curve novecentesche dell’originario palazzo del Cinema come una citazione o una presenza bizzarra che diventa parte del nuovo edificio. Cresciuto nella realtà di alcune presenze, necessariamente attento alle questioni economiche come a quelle strutturali, l’edificio diventa qualcosa di completamente nuovo; esso è nel suo insieme “il palazzo del Cinema”. Un solo edificio non può certo creare una nuova architettura, eppure noi vediamo in esso il superamento di più provvisori stili e tendenze e qualcosa dove la ricerca di una architettura civile che corrisponde ai nostri tempi si afferma. L’arditezza della struttura si accompagna alla tra-dizionalità dei materiali, la forma è mediata dalla necessità così che l’intero edificio del palazzo è bello per la propria logica generale. Abbiamo scritto di un nucleo generatore e di un’architettura generata, come se vi fosse in questa co­struzione un magnete capace di farla vivere e funzionare in piena autonomia. Ma un’autonomia capace di evocare e come trattenere la storia di questo cinema, che essendo il palazzo del Cinema è pur sempre attento a dare tutto lo spazio necessario e preminente al vero cinema; quello delle immagini dei tanti film che ci hanno stupito e ci stupiranno insieme a tutti coloro che riempiranno la grande sala perdendosi in quel mondo di amori, avventure, terrore, insomma in quel mondo del cinema che sempre ci sorprende.

E la nostra architettura, senza sovrapporsi, parteciperà a quel mondo che tutti amiamo.